L’apicoltura in Puglia. Un mercato sommerso

L’apicoltura è un comparto dell’economia agro/zootecnica pugliese che fattura 3milioni l’anno, e rappresenta circa il 30% della produzione italiana. Secondo la Banca Nazionale Apistica, di recente costituzione, in Puglia risultano censiti circa 20mila alveari (in Italia 1.150.000) e ritiene che gli alveari pugliesi in produzione siano oltre 25mila (in Italia circa 1.500.000),  “Il 20% in meno di quelli censiti in banca dati e di cui si ignora l’effettiva produzione”, denuncia  Giuseppe Rosini, presidente URAAPI, l’Unione Regionale Apicoltori.

In Puglia gli apicoltori ‘professionisti’, ossia coloro che ne ricavano reddito, sono solo il 5%. Quelli regolarmente registrati in Banca sono 511 (in Italia 52mila), di questi 228 producono e commercializzano il miele di propria produzione (in Italia 12mila), i restanti 283 producono miele per ‘autoconsumo’ (in Italia 40mila).

“E’ abbastanza chiaro che  questa produzione sfugge ai controllo, sia  fiscali sia  sanitari, e rappresenta il ‘sommerso’ dell’apistico regionale – sottolinea Rosini, che poi aggiunge – nella nostra regione la produzione di miele è stimata in  500 ton/annue (in Italia 23mila), a fronte di un consumo interno pari a 1600 ton/annue (in Italia oltre 29mila). Pertanto, la produzione del miele pugliese soddisfa solo il 25% della richiesta (in Italia il 50%), il giro d’affari del ‘sommerso’ in Puglia si aggira intorno a 11milioni di euro (in Italia 120milioni). Il divario tra richiesta di miele pugliese e produzione si ipotizza derivi dalla cosiddetta ‘apicoltura hobbistica’, ma che in realtà assume la consistenza economica e fiscale  di una produzione di miele per autoconsumo non controllata”.

Secondo Rosini circa 100ton. del miele pugliese è venduto, al prezzo medio di 5euro/kg a confezionatori di fuori regione che lo etichettano con il loro marchio (Conapi, Piana, Vangelisti, Casentinese) per un valore complessivo di 500mila euro. Le restanti 400ton. sono vendute direttamente dagli apicoltori al prezzo medio di 7euro/kg con  un giro d’affari di 2.800.000 euro.

Da questa disamina emerge che l’economia legata alla produzione del miele pugliese, caratterizzata dalla presenza di molte ‘aziende amatoriali’ che producono e vendono una quantità significativa di miele, sfugge a qualsiasi controllo.

Le aree a maggiore vocazione nettarifera sono le province di Bari e Taranto (80%), Brindisi e Foggia (20%) con una capacità produttiva di 4.700ton. pari al 20% della produzione nazionale. Inoltre, dal 2014 – in seguito alla minacciosa presenza di Aethina tumida in alcune zone della Calabria – ben 1000 alveari calabresi si sono insediati nella provincia di Taranto, senza contare che ogni anno giungono in Puglia oltre 25mila alveari di nomadisti abruzzesi, e circa 10mila provenienti da Campania, Basilicata, Marche, Trentino ed Emilia Romagna.

In Puglia “Esiste una flora nettarifera particolarmente pregiata e quindi molto  ricercata – spiega Marilia Tantillo, responsabile scientifica della Sezione di Sicurezza degli alimenti del Dipartimento di Medicina Veterinaria dell’università di Bari ed esperta della qualità dei prodotti dell’alveare – che richiama  numerosi  apicoltori da altre regioni italiane. Il nomadismo è una pratica che deve prevedere delle regole, per quanto attiene gli areali messi a disposizione, che dovrebbero essere prioritariamente assegnati agli apicoltori pugliesi che ne fanno richiesta, auspichiamo che al più presto la Regione Puglia stili un protocollo di concertazione per il nomadismo proveniente da altri territori.

Riguardo le criticità della filiera produttiva del miele pugliese (mancata aggregazione produttiva, frammentazione territoriale, non proprio ottimale sfruttamento del potenziale nettarifero regionale, mancanza di politiche apistiche mirate, assenza di un  Piano strategico di sviluppo regionale), Silvestro Pinto, presidente regionale APA, sottolinea che il comparto produttivo “Deve uscire dal ruolo di Cenerentola e di dopolavoro ed assumere pari dignità rispetto ad altri settori economici. Occorre inoltre favorire azioni congiunte di politica apistica forti ed incisive. In tal senso, un primo passo è stato fatto con la costituzione di un Consorzio con lo scopo di fare da apripista nell’istruttoria per il riconoscimento DOP per il miele unifloreale delle clementine della fascia jonica’.

Come è accaduto in passato per il vino e l’olio pugliesi, utilizzati per tagliare gli stessi prodotti rivenduti con marchi non pugliesi, anche al miele nostrano tocca il medesimo destino. “In tutti i settori delle produzioni alimentari la domanda si sta spostando verso  prodotti di qualità, intesa come origine e  sicurezza. Perciò – conclude Marilia Tantillo – anche la filiera apistica deve mirare allo sviluppo di strategie  di valorizzazione e di conoscenza del prodotto, soprattutto se in un alimento, come nel caso del miele e di altri prodotti dell’alveare (polline, pappa reale, propoli), il consumatore ricerca attività funzionali e salutistiche”.

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