di Alain Wey –
Nella campagna intorno a Ginevra, l’apicoltrice Stéphanie Vuadens gestisce ben 250 arnie. Due anni fa ha deciso di lasciare il lavoro per dedicarvisi professionalmente. Una bella avventura.
Nei dintorni di La Croix-de-Rozon (GE), ferma la sua Jeep per salutare un agricoltore al lavoro, che dice a un suo collaboratore: «Vieni, ti presento Stéphanie, la signora delle api!». Di conoscenti come lui, l’apicoltrice ne conta una quindicina, dato che, nella campagna ginevrina in cui posiziona i suoi apiari, i contadini sono suoi alleati. Ride quando ripensa ai primi contatti con loro. Per forza: non capita spesso di vedere una bella bionda dalle unghie laccate che propone di installare arnie nei campi. Eppure questa donna è riuscita presto a convincere anche i più scettici. Nel dicembre 2014 ha lasciato il suo lavoro a tempo pieno nel settore farmaceutico per diventare apicoltrice professionista. Oggi possiede 250 arnie in tutto il cantone e vende il suo “Miel Genevois” presso Coop Ginevra. Alla vigilia della raccolta primaverile, Stéphanie Vuadens ci fa scoprire il suo mondo, nato per una fortunata coincidenza e frutto della sua passionalità femminile.
Si stima che il numero di apicoltori a tempo pieno sia una quindicina contro i circa 2000 in Francia. In Svizzera solo 70 apicoltori possiedono più di 80 arnie. Stéphanie Vuadens è perciò un’eccezione. Questa primavera ha anche assunto il suo primo dipendente al 100%, Alexandre, un apicoltore francese. Nella sua mieleria di Meyrin, un deposito con almeno 120 arnie nuove fiammanti che lei stessa ha montato. Quest’anno, poi, inizia anche l’allevamento di api regine e si è perciò dotata di apposite arniette.
Uno sciame in giardino
Come mai Stéphanie Vuadens si è lanciata nel settore del miele? «Nell’aprile 2013 è arrivato uno sciame nel mio giardino. Era impressionante. Stavamo costruendo un piccolo capanno per gli attrezzi, l’ape regina si è introdotta in un foro e tutte le api, una dopo l’altra, l’hanno seguita». Un apicoltore ha proposto di installare un’arnia in giardino. «All’inizio ho detto di no. È stato mio marito ad accettare senza darmi ascolto…». La prima volta che ha dovuto occuparsi dell’arnia credeva di non farcela. Del resto, 30.000 api formano già una bella colonia. «Non ero mentalmente preparata», ricorda. «Ma, ogni volta, tutto è andato liscio e mi sono resa conto che era un momento tutto per me. Ero sola con me stessa davanti a queste piccole creature che impollinano i fiori, da cui nasceranno i lamponi in giardino e le ciliegie della vicina! E la prima volta che ho estratto il miele, mi brillavano gli occhi». Da quando le è scattata questa passione, vi si dedica con tutta se stessa. Decide di frequentare dei corsi presso la Società romanda di apicoltura e aumenta di colpo la popolazione a cinque arnie. Ne acquista altre nel 2014 (da 25 a 50) e nel 2015 abbandona il lavoro per creare un allevamento di 75-100 arnie. Parallelamente si immerge nella lettura di testi di apicoltura e impara da apicoltori professionisti nel Cantone Vaud e nella regione di Lione. Oggi possiede un patrimonio di 250 arnie, distribuite in venti sedi nella campagna ginevrina. «Se tutto va bene, dovrei chiudere l’anno con circa 300 arnie» esclama.
Avete detto buongustai?
«Quasi sempre accanto a tutti i miei apiari c’è uno specchio d’acqua». L’apicoltrice sceglie con cura i luoghi che accolgono le sue colonie. A Bardonnex, un agricoltore bio le ha piantato un maggese floreale di più ettari, dove lei ha installato 15 arnie tra due querce centenarie. Ad alcuni chilometri di distanza sta testando un nuovo appezzamento vicino a un viale di tigli con 6 colonie. Sempre alla ricerca di nuovi «posticini carini e adorabili», installerà prossimamente un apiario vicino a un frutteto di meli. Luogo diverso, miele diverso, con colori e gusti differenti. «Il mio obiettivo è avere un miele per villaggio». Sui barattoli che vende è indicato il luogo di provenienza, che rende unico il suo miele. «Non bisogna dimenticare che il miele è l’alimento stesso dell’ape. Come tutti noi, non vuole mangiare sempre la stessa cosa e preferisce andare a bottinare più varietà di fiori». Stéphanie Vuadens sorride pensando ai pregiudizi che aveva prima sul miele. «Come molti ero convinta che si facesse con il polline e non con il nettare dei fiori (ndr: liquido zuccherino del fiore)». Ovviamente, l’ape si nutre anche di polline, la sua fonte di proteine. E lo miscela al nettare per produrre il pane d’api destinato a nutrire le larve dell’arnia. Quanto all’impollinazione, l’ape la realizza suo malgrado e questa è la più bella virtù della natura: fare del bene anche senza volere. Si strofina contro il polline situato sulla parte maschile del fiore prima di immergersi nel cuore del fiore, dove si trova la parte femminile e quindi il nettare. «Le api sono responsabili dell’80% dell’impollinazione delle nostre piante e dei nostri fiori», ricorda Stéphanie Vuadens. «E perciò della frutta e della verdura che mangiamo. Una percentuale enorme».
Un’alleata a rischio
L’ape mellifera sta assistendo a un fenomeno di mortalità, esploso negli ultimi due decenni (leggi l’intervista a pag. 18). Il parassita varroa ha effetti devastanti. «È come una zecca che si attacca all’ape prosciugandone le fonti vitali e il suo sangue. Ciò causa l’atrofizzazione delle ali». L’apicoltrice immagina questa malattia come un pacco di 2 o 3 kg sulla schiena di un essere umano che gli succhia il sangue per tutto il giorno. Stéphanie Vuadens tratta il parassita biologicamente con acido formico. Mentre molti apicoltori hanno perso numerose colonie lo scorso inverno, lei “tocca ferro” non ha registrato una grossa mortalità nelle sue arnie.
Il ritorno dell’inverno alla fine di aprile non ha però risparmiato gli alveari. «Le gelate sono problematiche per tutti. Le api producono molto meno miele del solito e devono contare sulle scorte presenti nell’arnia». L’apicoltrice adatterà la raccolta primaverile alle condizioni climatiche affinché le colonie possano svilupparsi bene durante la stagione calda. Al momento della visita dell’apiario di Bardonnex, c’erano solo 8°C al mattino presto. Indicando un’ape operaia, Stéphanie Vuadens spiega: «Quando hanno il culetto per aria, vuol dire che hanno freddo!»
In questo mese di maggio l’apicoltrice è nel bel mezzo della raccolta primaverile. Ha deciso di effettuare l’estrazione del miele solo su poco più di 200 arnie. «Se tutto va bene, farò tre raccolte: in maggio, giugno e luglio. E lascerò il resto alle api per l’inverno. Nel 2016 abbiamo avuto un mese di giugno piovoso. Se avessi raccolto il miele da tutte le arnie, avrei fatto soffrire di fame le mie api». Quando parla di api, l’apicoltrice fa emergere il suo lato materno. Le chiama affettuosamente «le bambine». Basta che un campo in cui si trova uno dei suoi apiari sia ricco di varietà floreali per farla parlare col cuore: «Ehi, bambine, scegliete voi cosa preferite mangiare!».
«Per le api le erbacce sono erbe buone!»
Dagli anni ’90 il numero delle colonie di api mellifere è diminuito di circa il 10-15% in Svizzera e in Europa…
Dal 2003 si osserva una mortalità invernale elevata. Se l’apicoltore perde il 25% delle proprie colonie, non è facile ricostituire il patrimonio apicolo. Questa diminuzione è anche dovuta al trattamento contro la varroa (parassita delle api, ndr), che causa un aumento della mole di lavoro per gli apicoltori e ne scoraggia molti. Si osserva anche una riduzione delle dimensioni degli allevamenti apicoli.
Quali sono le cause di questa mortalità invernali?
Non si sa esattamente. Altrimenti saremmo già corsi ai ripari. A seconda degli anni e delle ubicazioni, vi sono diversi fattori che variano e si alimentano tra loro. Alcuni sono già noti come il parassita varroa (primo caso rilevato nel 1984) e i virus associati. Gli acaricidi di sintesi funzionano molto bene all’inizio per combatterlo, ma hanno perso efficacia da quando il parassita ha sviluppato resistenze.
Per quanto riguarda le api selvatiche, per quale motivo circa il 40% delle 615 specie viventi in Svizzera è a rischio?
In primo luogo, a causa dei cambiamenti ambientali operati dall’uomo, come l’urbanizzazione e l’intensificazione agricola. Le zone alluvionali, ad esempio, erano ambienti molto propizi alle api selvatiche. D’altro canto, va sottolineato che le api selvatiche devono trovare un luogo di nidificazione in prossimità dei punti in cui possono trovare cibo, dato che volano per brevi distanze (da 200 a 300 metri contro i 2-4 km delle api mellifere). In più, alcune di loro sono legate a determinate piante. Se ci sono altre piante in fiore, non possono farci nulla!
Ritiene che ci sia anche un altro motivo?
Una causa potrebbe essere l’uso di pesticidi, sia a livello di insetticidi mal utilizzati, che le minacciano direttamente, sia a livello di erbicidi. Perché per le api, infatti, le erbacce sono erbe buone!