di Marco Gasperetti –
In Toscana la produzione è calata dell’80 per cento. La rockstar sposta le sue 50 mila api in un campo di ciliegi: «C’è troppa poca acqua, così rischiano di morire tutte».
Da tempo amici e collaboratori non lo avevano visto così preoccupato. Mister Gordon Matthew Thomas Summer, in arte Sting, sembrava non pensare ad altro. E stavolta non per la mancanza di creatività o di fan (che non l’hanno mai abbandonato) o per qualche bega burocratica, ma per la sorte dei 60 alveari che arricchiscono la tenuta del Palagio, 300 ettari e una villa rinascimentale nel cuore del Valdarno, a pochi chilometri da Firenze. «Le api rischiano di morire, non hanno cibo né acqua, vanno spostate al più presto», ha detto il genio del rock che dal 2002 possiede una tenuta in Toscana dove produce vino, olio e miele biologici.
L’intervento dei «rianimatori»
Le 50 mila api di Sting sono state trasferite in un campo di ciliegi, 5 ettari che prima della grande siccità erano un vero paradiso, ma il problema non è stato risolto completamente. Non solo la produzione di miele si è ridotta della metà, ma per salvare le api sono dovuti intervenire i «rianimatori», apicoltori specializzati nell’alimentare gli insetti con un preparato speciale di acqua e zucchero. E quando è arrivata la prima e sospirata pioggia pare che lo stesso Sting abbia ricordato le parole di Fragile, uno dei suoi successi: «La pioggia continuerà a dirci quanto siamo fragili…». Già, perché per l’apicoltura italiana è stata l’estate più fragile a memoria d’uomo. «In Italia la produzione è calata in media del 70% con punte dell’80% in Toscana — spiega Francesco Panella, portavoce dell’Unapi, l’associazione degli apicoltori — ma non è solo un problema di produzione di miele. Adesso si rischia il disastro ambientale perché con la siccità i fiori non secernono più nettare e polline e le piante, in particolare quelle arboree, sono in una situazione di perenne sofferenza».
Effetto desertificazione
Secondo Arpat (l’Associazione toscana degli apicoltori), le api, falcidiate da una moria provocata dai pesticidi e ora impazzite per il clima anomalo, non riescono a impollinare e la perdita di fertilità delle piante rischia di aumentare l’effetto desertificazione. È così grave la situazione che sabato e domenica a Montalcino, la terra senese famosa per il Brunello e l’eccellenza degli alveari, sono stati organizzati gli stati generali dell’apicoltura. Saranno presentati dati da allarme rosso. «Se ci andrà bene, quest’anno arriveremo a 90 mila quintali di miele prodotto in Italia — continua Panella — contro i 250 mila della media nazionale». Un disastro che si cerca di evitare utilizzando anche le nuove tecnologie. A Siena sarà presentato un progetto (si chiama NOMaDi-app), realizzato dall’università di Firenze, per monitorare a distanza gli alveari con sensori hi tech capace di trasmettere via wireless informazioni su produzione e stato di salute delle api, soprattutto sui territori nei quali c’è fioritura e dunque nettare. «Da tempo dallo studio delle api arriva la certezza di una drammatica crisi ambientale — conferma Chiara Grassi, curatrice del progetto per l’università di Firenze — e il sistema che sarà sperimentato in Toscana aiuterà a combattere questa crisi». Ma da solo non potrà evitare lo spettro della catastrofe ecologica. Perché, come canta Sting, la pioggia (che non arriva) continuerà a dirci quanto siamo fragili.