di Luca Pianesi –
Il Consorzio nazionale apicoltori imputa il crollo generalizzato al clima e ai pesticidi. Facchinelli: “Nel nostro caso i contadini non c’entrano. Il problema sono state le gelate e le grandinate. Il miele d’acacia è scomparso al 100%. Per fare apicoltura in Trentino bisogna spostarsi di prato in prato e dobbiamo essere aiutati”.
“Se non ci sarà un impegno di tutti a facilitare il nomadismo l’apicoltura trentina potrebbe davvero sparire”. L’allarme lo lancia Marco Facchinelli presidente degli apicoltori trentini alla luce degli inquietanti dati dell’ultimo periodo. Si stima, infatti, che il 70% della produzione, quest’anno, salterà “con intere tipologie che sono completamente scomparse come quella di acacia la cui produzione, quest’anno sarà dello zero per cento”. In questi giorni anche sulla stampa nazionale sta facendo discutere la crisi pesantissima che sta vivendo il mondo dell’apicoltura italiana.
Il Conapi (consorzio nazionale apicoltori) che riunisce 600 soci in tutto il Paese ha spiegato che l’acacia nel 2017 ha raggiunto il minimo storico con un meno 30% rispetto all’anno scorso e un meno 70% rispetto al 2015 mentre èquasi azzerata la produzione di melata, conosciuto anche come miele di bosco, ed è quasi sparita quella di tiglio dell’Emilia Romagna. E anche il millefiore (quello che deriva da più fiori quindi tecnicamente più facile da produrre) ha avuto un calo del 20%. Insomma la crisi è generalizzata e il consorzio nazionale imputa tale crollo al clima e ai pesticidi.
“Per quanto ci riguarda – spiega ancora Facchinelli – mi sento di spezzare una lancia a favore dei nostri contadini. Il nostro problema, ormai da diversi anni, è il clima. Non ci ricordiamo più una stagione favorevole alla produzione di miele in provincia. E quest’anno è stato devastante. Il miele d’acacia è completamente scomparso perché non c’è stata la fotosintesi, quando è arrivata la fioritura le gelate di fine aprile hanno bloccato tutto. Questa stagione riusciremo a salvare solo un po’ di produzione più tardiva, i mieli scuri come quelli di tiglio e castagno. Ma tutta la produzione di primavera è saltata. Ma le api ci sono quindi, nel caso dell’apicoltura di montagna il problema non sono i pesticidi e gli inquinanti. Nel nostro caso il problema è che è sempre più difficile che i fiori riescano a fare la fotosintesi e laddove ciò avviene noi dobbiamo avere la possibilità di raggiungere immediatamente la zona”.
Il paradosso, poi, è che nonostante la produzione del miele in Trentino negli ultimi anni sia diventata sempre più difficoltosa il numero di produttori continua ad aumentare. “Ci sono tanti giovani che si affacciano a questa professione – conclude Facchinelli – ma devono sapere cosa li aspetta. Ormai quella dell’apicoltore di montagna è una vita difficile. Bisogna spostarsi di continuo, avere buoni contatti, essere pronti a prendere le api e portarle dove sbocciano i fiori. Ma le amministrazioni devono essere pronte ad accoglierci. I prati, i boschi di proprietà degli enti pubblici è importante che a richiesta vengano concessi. Lo stesso va chiesto ai privati. Se vogliamo che il miele trentino sopravviva bisogna riuscire a favorire il nomadismo degli apicoltori. La Provincia, i Comuni, le Comunità di Valle ci aiutino”.