Gli apicoltori italiani – alle prese con un periodo non facile – hanno sviluppato una raffinata conoscenza del mondo delle api. Oggi la loro preziosa competenza e passione è messa a disposizione dei piccoli produttori di miele in Africa.
Il 2017 sarà ricordato come l’annus horribilis dell’apicoltura italiana. A conti fatti, la produzione del miele nostrano è crollata del 60%. Colpa del clima impazzito – freddo anomalo seguito da improvvise ondate di calore – che si è accanito sui fiori e sugli alveari, già in sofferenza per il fuoco incrociato di pesticidi e parassiti esotici. Se la crisi del settore – un comparto d’eccellenza dell’agroalimentare nazionale – minaccia il lavoro di circa 45.000 apicoltori, dall’Africa arrivano dolci notizie.
Miele selvatico
A sud del Sahara ci sono popoli che da lungo tempo fanno del miele una preziosa fonte di nutrimento e di reddito. Nelle foreste del Camerun e del Congo, i pigmei Baka e Bambuti si arrampicano in cima agli alberi secolari e raccolgono il miele selvatico negli alveari nascosti tra il fogliame. Con sé portano dei tizzoni ardenti, il cui fumo scaccia le api, e un cesto fatto di foglie e liane in cui depositano i gustosi favi. Nella Repubblica Centrafricana, i Gbaya seguono i richiami di un minuscolo picchio, uccello goloso di larve di api, che indica con il suo becchettio sui tronchi la presenza di favi quasi invisibili all’uomo. Per difendersi dalle punture delle api, gli uomini si ricoprono con una corazza di erbe, foglie di palma e paglia, e si strofinano sul corpo una particolare corteccia che emana un odore repellente.
In Etiopia, il popolo Benna si è specializzato nella produzione e nella vendita del miele che viene prodotto dalle api in apposite cassette di legno posizionate tra i rami spinosi delle acacie. La raccolta avviene di notte, quando gli insetti dormono e sono meno aggressivi.
Presidi Slow Food
Con più di dieci milioni di alveari, l’Etiopia è il quarto esportatore di cera per il mercato mondiale e il nono produttore di miele. E proprio in questo Paese sono nati, grazie all’associazione Slow Food, i primi presidi finalizzati alla promozione dell’apicoltura locale. Nei pressi di Wukro, cittadina del Tigray, è stato costruito un locale polivalente per la smielatura, la vendita e la degustazione dei prodotti derivanti dalle api. Soprattutto è stato steso, con l’assistenza di tecnici Conapi (Consorzio apicoltori e agricoltori biologici italiani), un disciplinare che stabilisce le regole di produzione garantendo così autenticità e qualità al miele.
Un tempo, prima dell’istituzione del presidio, gli apicoltori vendevano il loro prodotto sfuso a intermediari, che spesso lo mescolavano a prodotti di scarso valore, rivendendo così un miele che non aveva più nulla a che vedere con l’originale. Oggi il miele viene smerciato integro in vasetti di vetro ed etichettato. Più a sud, nella regione dell’Oromia, l’intervento di Slow Food a sostegno dell’associazione degli apicoltori del vulcano Wenchi ha permesso di ottenere un miele puro, riconoscibile e di ottima qualità, adatto per la vendita.
Alveari in Tanzania
Un analogo intervento è stato realizzato da Slow Food in Tanzania, dove le donne del villaggio di Ngurdoto, che sorge ai piedi del Monte Meru, si dedicano da sempre alla raccolta di un miele molto particolare prodotto dalle api nere senza pungiglione (famiglia delle melipone). Fino a sessant’anni fa, questo miele era raccolto in grandi quantità dagli alveari che si creavano naturalmente nei tronchi secchi, nelle cavità del terreno, nei cespugli e negli alberi. Poi, la crescente deforestazione e l’inquinamento hanno ridotto drasticamente la produzione. Gli alveari tradizionali sono ricavati da sezioni cave di tronchi e appesi ai tetti delle case, a palizzate o ai rami più alti di alberi da frutto: normalmente si acquistano già abitati dagli sciami presso alcuni giovani della zona, che hanno ereditato dalla famiglia la conoscenza per la loro fabbricazione e per la gestione sciami. Sono loro che si inoltrano nelle aree boschive attorno al villaggio, individuando le specie di api senza pungiglione.
Da ogni alveare si ricavano circa 3-4 litri di miele millefiori, dal sapore agrodolce e con note agrumate, che possiede proprietà medicinali (soprattutto per la cura del sistema respiratorio o per i dolori mestruali). Non solo. Nella remota regione tanzaniana di Mbita, l’organizzazione non governativa Cefa ha realizzato un vero e proprio centro di produzione e lavorazione del miele, dotato di apiari, macchine smielatrici e delle altre attrezzature necessarie per poter sviluppare l’apicoltura (che consente anche di integrare l’alimentazione locale con zuccheri, carenti nella dieta della popolazione).
Kenya e Uganda
Sempre in Tanzania, sull’isola di Zanzibar (ma anche in Zambia, nel campo profughi di Meheba), i volontari dell’ong italiana Mlfm hanno iniziato a introdurre e diffondere metodi di apicoltura più moderni tra le cooperative locali, migliorando le tecniche di lavorazione e la qualità del prodotto finale. In Kenya, Slow Food e l’associazione Mani Tese sono intervenuti a favore del popolo Ogiek che vive nella zona della foresta Mau e vicino al Monte Elgon. L’apicoltura è la principale attività degli Ogiek, il cui miele è conosciuto da secoli per la sua prelibatezza. Un tempo la produzione era svolta esclusivamente dagli uomini, in particolare dagli anziani della comunità, gli unici autorizzati a costruire alveari e a raccogliere il miele per non danneggiare le piante. Le arnie erano quelle tradizionali: grandi cilindri di cedro rosso (un legno che resiste ai parassiti e al tempo) appesi ad alberi ad alto fusto.
Oggi, si sono avvicinate all’apicoltura anche le donne, che usano arnie collocate a terra, mentre gli uomini continuano ad arrampicarsi sugli alberi con l’aiuto di liane e raccolgono il miele dopo aver fumigato le arnie bruciando del muschio essiccato. Le attività finalizzate a migliorare la produzione sono state portate avanti assieme alla cooperativa Macodev, che riunisce 12 gruppi di apicoltori, e che oggi commercializzano il prodotto presso negozi, ristoranti e alberghi.
In Uganda, infine, l’apicoltura ha avuto un grande sviluppo negli ultimi dieci anni grazie a Malaika Honey, un’impresa sociale fondata dall’australiano Simon Turner, che ha avviato numerosi alveari in tutto il Paese e fornito ai produttori le attrezzature e le conoscenze necessarie a ricavare il miele attuale, dal sapore intenso e prelibato, e i suoi derivati, come la cera e la propoli, che oggi vengono venduti a Kampala e in una dozzina di Paesi esteri.