Apicoltura, intervista a Raffaele Cirone (Fai): “Approssimativi i dati della produzione del miele in Calabria”

di Alessandra Renda –

Lamezia Terme – Niente più api, niente più impollinazione, niente più frutta e vegetali e quindi niente più vita. Proprio in un momento storico come questo, in cui la salvaguardia delle api e del miele diventano finalmente battaglia europea, ci si rende conto ancor di più quanto la nostra storia sia sempre stata intrecciata a quella delle api, da quando gli egiziani furono i primi a copiare da loro l’arte della mummificazione grazie alla propoli.

Nonostante l’annata 2018 sia una delle più critiche per la produzione del miele in Calabria, la nostra Regione resta una delle più interessanti sulle quali puntare per le grandi varietà di cui dispone. Un settore in continua crescita, anche per quanto riguarda le richieste dall’estero, nonostante nel 2014 abbia dovuto anche affrontare nella zona del reggino l’emergenza “Aethina Tumida”: un coleottero per nulla dannoso alla salute dell’uomo, non diretto predatore delle api, ma colonizzatore degli alveari.

Quando il primo caso fu isolato proprio in Calabria, fu una vera e propria bufera quella che si abbatté sul mondo delle api. Fortunatamente, grazie alla collaborazione tra task force veterinaria regionale, associazioni e specialisti, fu circoscritta solo alla piana di Gioia, evitando che potesse diffondersi altrove, ma furono in molti gli apicoltori della zona, costretti con un’ordinanza drastica, ad abbattere e distruggere mediante il fuoco i loro apiari.

Abbiamo parlato di tutto questo, ma anche delle molteplici potenzialità del miele di Calabria con Raffaele Cirone, presidente del Fai Nazionale (Federazione Apicoltori Italiani).

Quali sono state le conseguenze sul miele dopo i casi di Aethina Tumida in Calabria?

“In conseguenza dell’arrivo del parassita esotico Aethina tumida in Calabria, grazie alla sensibilizzazione operata dalla FAI-Federazione Apicoltori Italiani e dai nostri associati sul territorio, il numero delle aziende apistiche è risultato raddoppiato rispetto al passato. Gli alveari censiti sono aumentati del 30%. Il numero degli alveari distrutti con il fuoco, così come richiesto dalle vigenti norme sanitarie e nel tentativo di circoscrivere il parassita, non ha prodotto un calo del patrimonio apistico calabrese (visti gli immediati rimpiazzi operati dagli Apicoltori). Non si sono, inoltre, verificati cali nelle produzioni agricole locali e in particolare negli agrumeti. La temporanea mancanza di api, d’altro canto, per l’impollinazione dei kiweti, è stata compensata dai kiwicoltori con l’acquisto consistente di “sciami a perdere”: pratica che consideriamo scorretta, e finanche illegale e che interessa un fenomeno di più ampie proporzioni, con articolazioni tra operatori locali e della regione Campania”.

Esistono in Calabria dei dati aggiornati sulla produzione del miele?

“La regione Calabria si è rifiutata di valutare il danno economico derivante dalle mancate produzioni delle aziende che hanno subito l’abbattimento degli alveari per causa di Aethina tumida; il dato della produzione di miele sul territorio calabrese, del resto, risulta approssimativo e derivante dal numero di alveari censiti che viene moltiplicato per una produzione media ad alveare. Partendo da questa formula, a nostro avviso discutibile, i dati delle produzioni apistiche del triennio 2014-2016 risultano addirittura in aumento. Il 2017, tutto sommato, è stata una buona stagione. Per quest’anno, infine, dobbiamo invece registrare un quadro produttivo problematico per ragioni che sono da attribuirsi ai cambiamenti climatici. Perduta quasi per intero la locale e ricca produzione di miele di agrumi, salvo i comprensori di Piana di Sibari e di Gioia Tauro, dove comunque le rese per alveare sono state modeste”.

Quali sono le maggiori minacce per le api?

“La presenza di Aethina tumida in territorio calabrese sembra tenuta sotto osservazione da parte delle autorità nazionali e comunitarie. Alla grande preoccupazione, tuttavia, non corrisponde un quadro legislativo chiaro, applicabile e di concreto contrasto al diffondersi delle patologie. Le norme vanno riviste perché le conseguenze di una burocrazia ottusa non ricadano sugli apicoltori che sono i principali danneggiati dall’introduzione di questo parassita. Il rischio per l’ape italiana, quindi per l’intera nazione, è enorme e quello che percepiamo è proprio un volersi preparare delle autorità al dilagare del parassita oltre i confini della cosiddetta “zona rossa”. Quando questo accadrà la nostra apicoltura subirà conseguenze pesantissime, specie sotto il profilo del mantenimento della biodiversità delle sottospecie autoctone di api”.

E sulla moria?

“Non sono stati segnalati casi di moria delle api come conseguenza diretta dell’Aethina tumida. Il fenomeno incide, per ora, a partire da altre calamità: il clima, come abbiamo già visto, la pressione chimica in agricoltura, la carestia di fioriture ricche di nettare e polline, le stesse malattie dell’alveare. Ogni anno, in Italia, perdiamo circa il 25% del patrimonio apistico e facciamo, come apicoltori, uno sforzo immane per la “rimonta”, cioè la ricostituzione delle scorte. Dinanzi a tutto questo gli allevatori di api, professionali e non, dovrebbero ricevere maggiori incentivi per il bene di tutta la collettività. Basta poco, nel nostro mondo, per ottenere risultati concreti e in poco tempo: purché si abbatta la burocrazia che impera a livello regionale, dove si amministrano discrezionalmente soldi che sono dell’Unione europea e dello Stato Italia. Da anni le Regioni non spendono più un euro per l’apicoltura”.

Ci sono misure preventive da adottare?

“Non esistono misure preventive per il diffondersi di Aethina tumida. I nostri apicoltori della Calabria, quelli almeno che fanno capo alla FAI-Federazione Apicoltori Italiani, come lotta di contenimento alla diffusione di questo parassita stanno proponendo l’uso della cosiddetta “parete mobile”: un semplice ma efficace accorgimento tecnico grazie al quale si stanno registrando apprezzabili risultati. Bisogna continuare su questa strada e, ove possibile, programmare attività di ricerca che non possono prescindere dal coinvolgimento stretto degli apicoltori. Ogni azione promossa nelle sedi istituzionali e della ricerca, se priva di una condivisione dell’esperienza degli apicoltori, sarà quindi inutile o improduttiva”.

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