Un giovane a tu per tu con le api in Val di Gresta, specializzato alla Fondazione Mach.
«Ma come fai a non avere paura?» – Gli chiedo al pensiero del suo lavoro a stretto contatto con le api, spesso a mani nude attorno a un’arnia.
«No, no. Le api sono mie amiche.»
È Luigi Vettori che mi parla con tanta tranquillità. Ha 25 anni, abita a Manzano, un piccolo paese della Val di Gresta e, se non si è capito fa l’apicoltore, professione inusuale soprattutto per un ragazzo della sua età.
Un amore per le api, il suo, che nasce quasi per caso, senza nessuna tradizione tramandata in famiglia come magari si potrebbe supporre.
Come è nata la tua passione per l’apicoltura?
«Ho cominciato semplicemente aiutando un mio amico che curava delle arnie e aveva bisogno in certi momenti di una mano in più.
«Il mondo delle api mi ha da subito affascinato e mi piaciuto così tanto che ho pensato che sarebbe stato bello fare di quella passione un lavoro. Ho deciso quindi di partecipare a un corso organizzato dalla Fondazione Edmund Mach di San Michele all’Adige per capire meglio come funzionasse il settore dell’apicoltura.
«Una volta finito il corso, siccome avevo appena finito la scuola e mi trovavo nella fase in cui non sapevo bene cosa fare della mia vita, ho scelto di trascorrere un periodo in Australia. Ho deciso così di unire la passione per il viaggio con quella dell’apicoltura e dopo varie ricerche ho contattato un’azienda apistica in Western Australia.
«Quando mi hanno risposto che erano disponibili a farmi lavorare con loro non ci potevo credere: un lavoro a stretto contatto con le api proprio in Australia, una terra mitica, che avevo sempre sognato di visitare. La mia carriera vera e propria, quindi, seppur con quel primo contatto in Italia, diciamo che è sbocciata dall’altra parte del mondo.»
Quanto tempo è passato da allora e come si sono evolute le cose?
«Allora, fammi pensare… Sono partito nel 2014, quindi quattro anni fa. Sono stato via un anno, lavorando sempre come apicoltore. Ad un certo punto, però, come spesso accade a chi rimane per molto tempo lontano dal proprio Paese, l’aria di casa ha iniziato a mancarmi e quindi ho preso l’aereo che dopo ore e ore di viaggio mi ha riportato tra le mie montagne trentine.
«Confesso che mi mancava il mio passato, la mia famiglia, la mia valle, la Val di Gresta, Mori, e un po’ tutto in generale. Tuttavia, ritornare mi ha dato una nuova spinta per crescere e migliorare ancora nel mio settore.
«Ho avuto fortuna trovando presto lavoro anche qui nel campo dell’apicoltura, in un’azienda dove ho fatto esperienza per un altro anno e mezzo.
«E come nuovamente può capitare a chi si sente cittadino del Mondo, ho risentito ad un certo punto anche la mancanza dell’altra parte di me, l’Australia. Sono perciò tornato per una seconda volta nella Terra dei Canguri, intrattenendomi per un altro anno, lavorando sempre come apicoltore e consolidando via via un’idea e una professione.
«Il ritorno definitivo in Italia, quello che ha chiuso almeno per ora l’esperienza in Oceania, ha segnato la partenza del mio progetto non solo di lavoro con le api, ma anche di vita.»
Quindi, cosa fai al momento?
«Ho avviato un’attività mia con tutto il materiale e l’attrezzatura necessaria.
«Attualmente sto seguendo un corso di imprenditoria agricola per migliorare la mia esperienza e acquisire ogni giorno strumenti nuovi da utilizzare sul lavoro. Al contempo, sono impegnato nella costruzione di un mio laboratorio personale, faccio anche il falegname e quindi le arnie e il materiale che mi serve me lo costruisco direttamente da me. Piano piano mi sto insediando con la mia azienda nel mio piccolo paesino della Val di Gresta.
«Durante la primavera e l’estate faccio giornalmente visita all’apiario [l’insieme di arnie – NdR], dove mi occupo di controllare se tutto va bene, sistemo le api, eseguo le operazioni che vanno fatte.
«Pratico anche nomadismo che in gergo significa portare le api direttamente sui luoghi dove hanno luogo le varie fioriture, dove ci sono castagni, acacie o qualche altra essenza arborea interessante per il sapore particolare che poi lascerà al miele.
«I posti dove colloco le arnie li ho chiesti in prestito ai proprietari che non avevano interesse nel coltivare quei terreni. Il patto è sempre quello che io tenga pulita e ordinata la zona e in cambio loro mi concedono di poter metterci le mie arnie per il periodo necessario.
«Poi l’estate le porto a bottinare più su, in montagna, e quando il miele è pronto lo estraggo in laboratorio mettendolo nei vasetti, poi lo vendo in alcuni negozi della zona, o direttamente qui in azienda.
«Durante l’inverno, invece, porto le arnie in quattro posti dove le tengo tutte assieme e vado regolarmente a controllare che tutto vada bene.»
In quattro posti? Ma quante api hai? E Non hai paura di perderle durante tutti questi spostamenti?
«Ho 150 arnie. Quindi, vediamo, se tieni conto che ce ne sono decine di migliaia in una sola arnia, il numero delle mie api arriva a diversi milioni di esemplari. Già, sono tante.
«Mi chiedi se si possono perdere durante gli spostamenti… Sì, può capitare di perderne qualcuna, ma non è in quei momenti che si corre il rischio maggiore.
«È in primavera, quando c’è il periodo della sciamatura [la fuga dall’alveare di una nuova regina e del suo seguito – NdR] che sorge il vero problema. Per evitare queste migrazioni indesiderate ci sono delle tecniche lunghe da spiegare, ma che dal punto di vista operativo comportano la mia presenza giornaliera per evitare che ciò accada.
«C’è inoltre da stare attenti in primavera in autunno quando c’è in giro l’orso, per questo bisogna fare dei robusti recinti apposta per evitare che riesca a raggiungere il miele.»
Ti ha mai punto un’ape?
«Una sola? Tante api, vorrai dire… Capita, ma ormai sono assuefatto. Pensa che all’inizio mi si gonfiavano le mani che sembravo un elefante. Fa parte del lavoro.
«Adesso le punture non mi fanno più quasi niente. Ho ricevuto punture anche in faccia, soprattutto quando dovevo fare qualche operazione veloce evitando di mettermi le protezioni.
«Comunque, per chi non è del mestiere, consiglio di fare attenzione e di non disturbare le api nei loro alveari.»
Dimmi qualche curiosità del tuo lavoro. Cosa pensano i tuoi conoscenti del tuo lavoro?
«Di solito il pensiero comune nei confronti di un apicoltore è che faccia la bella vita, che cioè siano solo le api a lavorare per lui. In realtà ti assicuro che c’è un bel po’ di lavoro dietro alla produzione del miele.
«In questa stagione, a dirti la verità non è così perché è inverno. L’impegno, quello vero, coincide con le altre stagioni dell’anno, quelle in cui l’attività delle api inizia a essere prima intensa e poi frenetica nel corso della stagione calda.»
Che nome ha il tuo miele?
«Il nome aziendale è Apigresta e il significato è ovvio perché si ricollega al territorio in cui sono nato e in cui lavoro. Potete trovare la mia pagina su Facebook con questo nome, ma sto pensando di cambiare denominazione anche se al momento non ho ancora un’idea ben precisa.»
Quali sono gli obbiettivi che vorresti raggiungere?
«Come traguardo mi pongo di avviare la mia azienda al meglio, con un guadagno sufficiente per autosostenermi ed essere felice con il mio lavoro. Questo è ancora un inizio.
«Ciò che mi vedo davanti sono tante nuove strade da progettare e da sviluppare, ci vuole solo un po’ di tempo e pazienza. Ho ancora tanti progetti in testa e per fortuna non mi manca l’entusiasmo!»
Astrid Panizza – a.panizza@ladigetto.it