Da New York a Cremona fioriscono progetti e corsi per avvicinare i cittadini all’apicoltura. “Ci si aspetta che la biodiversità nelle città sia molto più bassa di quella di un’area rurale o di un ecosistema naturale – spiega Raffaele Cirone della Federazione Apicoltori italiani -, invece è ricchissima”.
Dal miele prodotto sul tetto dell’Hilton Midtown di New York, a quello firmato da Louis Vuitton a Parigi, fino alla maxi arnia Honey Factory, nel giardino della Triennale di Milano e al progetto ‘Api in città’, che a Roma la Federazione Apicoltori italiani (Fai) porta avanti insieme ai carabinieri per la tutela forestale e la biodiversità. L’apicoltura urbana vive un vero e proprio boom che risponde alla necessità di tutelare questi insetti impollinatori, minacciati dall’agricoltura intensiva e dall’uso diffuso di pesticidi, soprattutto nelle aree agricole. Cresce l’interesse anche da parte di privati, che vogliono cimentarsi: c’è chi si avvicina all’apicoltura urbana per hobby, chi vuole produrre miele e chi lo fa per salvare le api. Arnie e apiari nelle città hanno anche altre importanti funzioni, ossia quella di monitorare la qualità dell’aria e il livello di inquinamento atmosferico e di fornire informazioni sulla biodiversità di un territorio. “Non si tratta solo di un fenomeno di tendenza – spiega il presidente della Fai Raffaele Cirone – dato che il nostro primo apiario sperimentale, il ‘numero zero’ è attivo già dal 1980 a Palazzo della Valle, sede di Confagricoltura, a Roma”. Negli ultimi anni, però, l’interesse è cresciuto in tutto il mondo, parallelamente a quello per le sorti del pianeta.
IL LAVORO PREZIOSO DELLE API – Secondo le Nazioni Unite il 40% delle api rischia l’estinzione globale per diversi fattori, tra cui proprio l’uso smodato di pesticidi. Così, anche se può sembrare un paradosso, le aree urbane stanno diventando luoghi protetti per questi preziosi insetti. D’altronde è proprio per proteggere le api che a febbraio 2019 la Francia è diventata ufficialmente il primo paese europeo a vietare i cinque pesticidiche uccidono questi impollinatori (clothianidin, imidacloprid, thiamethoxam, thiacloprid e acetamiprid), mentre in Unione Europea ne sono vietati solo tre.
DA NEW YORK A PARIGI – Fino al 2010 a New York sarebbe stato impensabile allevare api sui tetti, perché considerate pericolose. Poi la New York Beekeeping Association diretta da Andrew Cotè, tra gli apicoltori urbani più famosi al mondo, ha chiesto al Dipartimento di Salute cittadino di condurre un’indagine sulla reale pericolosità delle api in città. Lo studio ha rivelato che questi impollinatori non rappresentavano un rischio. Il divieto è stato così revocato. Da allora si sono moltiplicati gli esempi di apicoltura urbana. Londra non è da meno, con 3200 apiari, che si trovano persino sulle sommità della London Stock Exchangee della Tate Modern. A Berlino si contano circa 15mila arnie, mentre a Parigi, Louis Vuitton ha firmato il miele ‘Belle Jardinière’, prodotto sui tetti di una boutique con la collaborazione dell’apicoltore Nicolas Geant, che cura anche le arnie sul tetto dell’Opéra Garnier. E poi c’è Olivier Darné, che dal 2008 raccoglie fondi a sostegno dell’apicoltura urbana attraverso laBanque du Miel: con 10 euro si può ‘aprire un conto’, ricevendo un’arnia condominiale e parte del raccolto.
API IN CITTÀ – Anche in Italia esistono progetti importanti. Oggi, con ‘Api in città’, solamente nella Capitale la Fai gestisce venti postazioni in luoghi strategici e, grazie alle api “si acquisiscono dati di elevato valore scientifico” spiega Cirone.Alveari sono al sesto piano della sede del comando dei carabinieri di via Giosuè Carducci, ma anche sul tetto della sede della Confagricoltura, a Palazzo della Valle, nel cuore del centro storico. Dalle api della residenza dell’ambasciatore britannico, a Villa Wolkonsky, si produce quello che chiamano il ‘miele dell’ambasciatore’. “Ci si aspetta che la biodiversità nelle città sia molto più bassa di quella di un’area rurale o di un ecosistema naturale – spiega Raffaele Cirone – invece è ricchissima”. Sono oltre 150 le specie botaniche finora censite, alcune di queste non ancora presenti nei repertori della Flora di Roma.
L’INQUINAMENTO – Ma l’aria inquinata delle città non incide sulla produzione di miele? A questo proposito sono interessanti alcuni risultati fin qui raggiunti dal progetto. “In materia di metallipesanti – spiega la Fai – il miele rientra tra le previsioni del Regolamento Ue 2015/1005 che fissa un tenore massimo di piombo pari a 0,10 mg/kg”. I dati finora rilevati dal progetto “ci dicono che siamo ben al di sotto dei valori suggeriti con una media di 0,022 mg/kg”. Sono diversi i fattori che incidono: dalla posizione degli alveari al clima. “È importante che in tutte le città vengano eseguiti continui monitoraggi, come impongono le norme comunitarie – sottolinea Cirone – ma bisogna distinguere tra chi produce perl’autoconsumo o inizia l’attività con scopi didattici e chi punta alla vendita. In questo caso, come dispone la legge, è necessario rispettare una serie di obblighi per essere certi che il prodotto sia sicuro, evitando qualsiasi tipo di azzardo e sottoponendo il miele a opportune analisi. Altrimenti si rischia di danneggiare l’immagine di tutto il settore”.
DALLA TRIENNALE DI MILANO AI CORSI APERTI A TUTTI – Per avvicinare i cittadini all’apicoltura urbana e raccogliere dati ambientali, a Torino, Antonio Barletta ha avviato nel 2010 il progetto ‘Urban Bees’, collocando arnie in residenze private, musei, centri socio-culturali e orti urbani. In queste settimane, complice la primavera, nuove iniziative stanno nascendo. Come il corso presentato al quartiere periferico del Pilastro di Bologna: negli Orti Caab del Podere San Ludovico sono stati preparati due ettari di terreno che diventeranno pascolo per le api. Al Parco Nord di Milano è appena terminata la seconda edizione di un altro corso. A Cremona, invece, per coinvolgere i cittadini nel mondo dell’apicoltura urbana, è stato sottoscritto un patto per la realizzazione del progetto Cremona Urban Bees tra il Comune e l’associazione ‘Città Rurale’. A Milano è ormai un simbolo la maxi arnia didattica Honey Factory, disegnata da Francesco Faccin e prodotta da Riva 1920 in occasione del Salone del Mobile 2015, esposta nel giardino della Triennale di Milano e accessibile anche ai bambini. La struttura è stata progettata con la collaborazione di Mauro Veca, pioniere dell’apicoltura urbana, produttore de ‘ilmielediElia’ e ideatore del progetto BeeCityMilano, che promuove la creazione di una rete di biomonitoraggio e didattica ambientale con le api.
DIVENTARE APICOLTORE – Veca è anche responsabile didattico del primo portale italiano dedicato all’apicoltura in un contesto urbano, ossia apicolturaurbana.it. Sul sito si cerca di aiutare chi vuole cimentarsi, soprattutto per hobby, in questa attività e si sfatano alcuni falsi miti, come il fatto che il mieleprodotto sia inquinato dall’aria della città, che le api siano pericolose per chi voglia gestire un alveare o per i vicini di casa ma, allo stesso tempo, anche che sia possibile tenere le api sul balcone. Si spiega tutto quello che serve per iniziare (fornendo un vero e proprio kit, oltre alle video guide) e si danno molti suggerimenti, promuovendo un’apicoltura per hobby. “Posizionare un’arnia sul balcone di un condominio – si legge infatti sul sito – non è una buona idea”. A meno che non si tratti di un tetto, suggeriscono gli esperti, la posizione migliore è “un giardino sufficientemente ampio che rispetti le distanze minime. Inoltre è sempre bene informare della tua iniziativa i tuoi vicini di casa”. In media, uno sciame di api costa dai 90 ai 120 euro, dipende dal numero di api, da periodo località e da eventuali certificazioni. “Con una corretta conduzione dell’alveare – spiega il portale – in media si può produrre da un minimo di 10 a un massimo di 30 chilogrammi per famiglia di api”. A disciplinare le regole per la salvaguardia sanitaria e la sicurezza dell’attività è la legge 313 del 24 dicembre 2004. Per chi vuole iniziare, poi, è necessario richiedere la registrazione dell’apiario all’Ufficio veterinario Asl di competenza territoriale.