Preoccupata Coldiretti Marche per il clima impazzito che ha messo in ginocchio gli apicoltori. La presidente Maria Letizia Gardoni: «Con una situazione così occorre far accedere la categoria al fondo di solidarietà nazionale».
Acacia e millefiori pressoché azzerati e api che rischiano di morire di fame. È una situazione da bollino nero quella che sta attraversando l’apicoltura marchigiana a causa del clima impazzito che ha visto, finora, una prima parte di anno secca e un maggio con temperature davvero fuori stagione. Gli apicoltori stanno nutrendo le loro api, impossibilitate ad uscire per via della temperature basse, con sciroppi zuccherini per sventare la loro scomparsa.
Giorgio Poeta
«Io ho 450 famiglie di api in produzione – racconta l’apicoltore Giorgio Poeta – tra Fabriano, Monsano, Jesi, Mergo, Poggio San Romualdo e Arcevia. In questo periodo le api sono state nutrite con sciroppi zuccherini. A Jesi e a Monsano le api non hanno prodotto e questo è un problema a livello economico non indifferente. In montagna la situazione è ancora più disastrosa, dove abbiamo 150 famiglie di api perché lavoriamo molto con i pollini di alta quota. Qui nonostante le api siano state nutrite di continuo da aprile, da quando è iniziato a piovere fino ad oggi, non ci sono state fioriture e non ci sono state temperature minime per l’uscita delle api. La situazione è grave».
Le smielature di acacia e millefiori primaverili, che si sarebbero dovute già eseguire, sono praticamente saltate e le previsioni per l’anno in corso non sono affatto buone. Peggiori addirittura di quelle dello scorso anno quando si sono registrate produzioni molto altalenanti con rese anche sotto i 5 chili ad alveare: pressoché dimezzata l’acacia e raccolta vicino alla zero nelle province di Macerata e Fermo. Situazione allarmante per un settore in ascesa e di qualità come quello marchigiano. Nella nostra regione si contano 2.577 apicoltori (+ 8% rispetto al 2017), di cui quasi il 35% come attività commerciale mentre il resto è autoconsumo. Su 63768 alveari, il 13% è destinato alla produzione biologica. Un calo di produzione che incentiva l’arrivo sugli scaffali di miele straniero, proveniente soprattutto da Cina e Ungheria e che fa segnare un +18% di aumento della quantità di miele importata, pari a 27,8 milioni di chili.
«Sono 15 anni che faccio questo lavoro – spiega Giorgio Poeta – e non ho mai visto una situazione del genere. Collaboro con un apicoltore che svolge il suo mestiere dagli anni ’70 e anche lui non ha mai dovuto nutrire le api a fine maggio. Adesso ci sono apicoltori che stanno in ginocchio, perché in centro e nord Italia dove si punta molto sull’acacia, con questo tempo non è stato raccolto nulla. Da alcuni anni la situazione è sempre più difficile, sia per un discorso di benessere dell’ape sia per il clima, quindi se l’apicoltura non viene sostenuta da fondi pubblici, come tutti gli altri settori agricoli, il rischio è che gli apicoltori abbandonino, perché è troppo rischioso. Il nostro è l’unico settore produttivo zootecnico in Italia che non è tutelato, non esiste per noi né la calamità naturale né alcun tipo di contributo per arnia».
Maria Letizia Gardoni, presidente Coldiretti Marche
«Le temperature fuori stagione e le piogge – commenta Maria Letizia Gardoni, presidente di Coldiretti Marche – stanno creando un vero e proprio allarme tra gli apicoltori. Le api rappresentano un termometro biologico e con la loro opera sono fondamentali per l’ecosistema in generale. Eppure il settore è poco considerato . Con una situazione così occorre far accedere la categoria al fondo di solidarietà nazionale».
«La Gardoni ha toccato dei temi fondamentali – dice Poeta – spero che lei si faccia portabandiera di quanto detto e penso che Maria Letizia sia la persona giusta. L’ape è un bioindicatore ambientale, sente prima dell’uomo i cambiamenti e se un posto è salubre o meno. Ciò significa che se per l’ape un ambiente non è salubre, non lo è neanche per l’uomo». Giorgio Poeta spiega che purtroppo «nei boschi le famiglie di api non si trovano più. Se le api selvatiche non esistono più e le uniche api che esistono sono quelle in possesso agli agricoltori, è giusto sostenere gli apicoltori perché se noi mangiamo pomodori, meloni, cocomeri, frutta e verdura è grazie a chi alleva api. Quindi sono d’accordo, in primis, che occorre far accedere la categoria al fondo di solidarietà nazionale, ma è anche importante sostenere gli apicoltori, come già accade in altri stati dell’Unione Europea. In spagna, per esempio, lo Stato dà 20 euro per ogni arnia in possesso»
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