Coronavirus, il lockdown riduce i veleni per le api ma frena l’apicoltura mettendola a rischio

Meno traffico e fumi inquinanti, ma anche la riduzione di cure in prati, giardini, aiuole e ai bordi delle strade. In molti Paesi del mondo, il lockdown ha interrotto una serie di pratiche dannose per gli insetti e, in primis, per le api selvatiche che hanno potuto godere appieno di una maggiore presenza di fiori e pollini, favorita anche dalle buone condizioni meteorologiche di questa primavera.

Secondo Plantlife, la più grande organizzazione europea per la conservazione dei fiori selvatici, questi ecosistemi che crescono lungo le strade o in aree urbane, spesso poco studiati e gestiti male, ospitano oltre 700 specie di fiori selvatici. E quest’anno è andata anche meglio. Si prevede un’annata ottima per il miele, sia per quanto riguarda la qualità sia per la quantità. Sempre che i cambiamenti inaspettatamente positivi dovuti all’emergenza non vengano bilanciati da altri fattori. In primis l’utilizzo dei pesticidi, che si è tutt’altro che fermato. E poi da una nuova minaccia: la vespa velutina.

IL RUOLO DELLE API – Anche se alcuni dei cambiamenti dovuti al lockdown potrebbero rivelarsi difficili da mantenere, molti scienziati guardano con favore quanto è accaduto negli ultimi mesi, soprattutto considerando i gravi problemi con cui devono fare i conti questi insetti tanto preziosi. Le api sono minacciate dagli effetti combinati del cambiamento climatico, dell’inquinamento, ma anche dell’agricoltura intensiva e dell’uso dei pesticidi. Il risultato è che le popolazioni di api stanno rapidamente diminuendo in tutto il mondo a causa della perdita di habitat.

Eppure l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO) ha chiesto ai Paesi di fare di più per proteggere le api e gli altri impollinatori, sottolineando che oltre il 75% delle colture alimentari mondiali dipendono in una certa misura dall’impollinazione per resa e qualità. Secondo uno studio dell’Università di Reading solo le api fertilizzano un terzo del cibo che mangiamo e l’80% delle piante da fiore e hanno un valore economico globale di circa 150 miliardi di dollari.

GLI EFFETTI DEL LOCKDOWN – Uno degli effetti del lockdown è stato quello riduzione dell’inquinamento atmosferico e questo ha permesso alle api di dover affrontare “viaggi più brevi e più redditizi”, ha spiegato alla Bbc Mark Brown, professore di ecologia evolutiva alla Royal Holloway, Università di Londra. Meno inquinamento dovuto alle auto, per esempio, facilita il foraggio delle api, poiché in condizioni normali nelle nostre città i fumi delle auto riducono la forza e la longevità dei profumi floreali, rendendo più difficile per questi insetti rilevare il cibo e costringendole ad allontanarsi per trovarlo e riportarlo ai loro nidi.

Uno studio del 2016 ha anche rilevato che concentrazioni di ozono ritenute dall’Agenzia per la protezione dell’ambiente degli Stati Uniti (Epa) basse, sono sufficienti a causare cambiamenti chimici che confondono le api e impediscono loro di foraggiarsi in modo efficiente. Ma non è l’unica ragione per cui il traffico delle auto danneggia le api. Come ha ricordato Brown, uno studio del 2015 condotto da ricercatori canadesi ha stimato che ogni anno 24 miliardi di api e vespe vengono uccise dai veicoli sulle strade del Nord America.

Negli ultimi mesi questo fenomeno si è di molto ridotto. E poi in molti Paesi, gli enti locali hanno smesso di prendersi cura del verde ai bordi delle strade, nelle aiuole, nei parchi, che si sono trasformati in habitat lussureggianti per le api. Non è un caso se nel Regno Unito, ad esempio, per anni gli ambientalisti hanno condotto campagne chiedendo di non falciare l’erba. Ora che si iniziano a intravedere gli effetti del blocco, Brown chiede di non tornare indietro con la fine del lockdown.

I PROBLEMI DEGLI APICOLTORI – Anche perché, nonostante gli effetti positivi delle limitazioni dovute all’emergenza Covid-19, non è comunque un periodo facile per apicoltori e agricoltori che, come ricordato da Jeff Pettis, presidente di Apimondia, la federazione internazionale di apicoltori, dal Canada ai Paesi europei, dipendono fortemente dai lavoratori stagionali e dall’importazione di api regine da tutto il mondo per rifornire le loro colonie. Il Regno Unito, per esempio, acquista molte delle sue api regine proprio dall’Italia. Di solito le api vengono trasportate in aereo, ma in questi mesi c’è stato il blocco dei voli.

“Se gli apicoltori non riescono a trovare la manodopera per produrre il miele, le colonie si congestionano. Ciò significa che le api si dividono e sciamano prima per formare nuove colonie”, ha spiegato Pettis, secondo il quale “questo potrebbe avere gravi effetti a catena per i coltivatori di seminativi, dato che spesso si fa affidamento su alveari commerciali itineranti per l’impollinazione delle colture”. Le restrizioni ai viaggi hanno anche ostacolato il lavoro degli ambientalisti per raccogliere dati.

NON SI FERMA LA STRAGE – Quello che non si è fermato, in Italia come in altri Paesi è la strage di api che ogni anno viene causata dall’utilizzo di pesticidi. Nel nostro Paese sono stati segnalati casi in diverse regioni: dal Piemonte alla Lombardia, dalla Toscana alla Calabria. I pesticidi neonicotinoidi sono comunemente utilizzati in agricoltura, in primavera, per una serie di trattamenti sulle colture.

“Da inizio aprile stiamo registrando una segnalazione dopo l’altra di spopolamenti, morie di api e perdita di bottinatrici compromettendo così il prossimo raccolto di acacia”, ha denunciato l’Associazione dei produttori di miele del Piemonte. Che segnala: “Le criticità maggiori le abbiamo riscontrate sul noccioleto, dove in alcune zone dell’albese e del monregalese è stato utilizzato un insetticida in deroga per il trattamento dell’eriofide. Trattamento che poteva essere eseguito efficacemente anche con zolfo bagnabile”. Il problema è legato anche ad altri trattamenti effettuati ad esempio sul mais, sul melo e sulla colza. Tutti i casi sono stati denunciati alle autorità competenti.

IL CALABRONE ASIATICO – E i guai non sono finiti. L’ultimo arriva dal sud-est asiatico e si chiama vespa velutina, conosciuta anche con il nome di calabrone asiatico o calabrone dalle zampe gialle. Un insetto che potrebbe devastare intere popolazioni di api e che è stato già avvistato nello stato di Washington e nel nostro Paese, tra la riviera ligure di ponente e la Toscana. Si tratta di una specie aliena che le nostre api, dunque, non conoscono e contro cui non hanno ancora difese, tranne quella di non uscire dal nido per cercare nutrimento. E quest’anno sarebbe davvero un peccato.

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