Api e calabroni, ecco come difendersi

di Davide Michielin –

Più tempo all’aria aperta e maggior rischi di punture. Gli allergici rischiano molto, gli altri devono comunque far attenzione a sintomi e durata.

Come le allergie non vanno in vacanza, così la convivenza con gli insetti è una certezza della stagione estiva. L’aumento del tempo libero a disposizione, unito al desiderio di evasione, spinge molte persone a trascorrere più tempo all’aria aperta. In spiaggia come in montagna, nel parco del quartiere come dentro casa, la presenza di mosche e zanzare è ubiquitaria ma, nella maggioranza dei casi, priva di conseguenze per la salute degli italiani. Al contrario, l’incontro con api, vespe e calabroni – i cosiddetti imenotteri – desta qualche timore in più di un fastidioso ponfo. La loro puntura non è solo dolorosa ma può provocare nei soggetti allergici reazioni di varia gravità fino al cosiddetto shock anafilattico. “Ad oggi, non esiste un test predittivo per sapere se si è allergici o lo si diventerà nel corso della vita. Tuttavia, è bene ricordare che, nonostante ogni anno siano circa 5 mila gli italiani punti da imenotteri, nella maggioranza dei casi l’evento non provoca conseguenze gravi”, premette Maria Beatrice Bilò, allergologa dell’Università Politecnica delle Marche.

Sensibilità variabile
La sensibilità delle persone è piuttosto variabile e, inoltre, l’allergia riguarda spesso il veleno di una singola specie. Perciò, nei limiti del possibile, è bene imparare a distinguere almeno grossolanamente i vari imenotteri di interesse allergologico. La recente penetrazione nel nostro paese della Vespa velutina, il cosiddetto calabrone zampe gialle originario dell’Asia sudorientale, ha finito per provocare una vera e propria fobia. Spesso alimentata dal timore che possa essere il temibile e colossale calabrone gigante asiatico (V. mandarinia), tuttora assente in Europa. “Fino all’arrivo della velutina, in Italia convivevano solo due specie di calabrone, entrambe glabre e di grandi dimensioni. La più diffusa è il vero e proprio calabrone (V. crabro), dalla tipica livrea a strisce gialle e brune-rossicce. Nel Mezzogiorno è presente anche la vespa orientale (V. orientalis) di colorazione uniformemente rossiccia con una banda gialla all’estremità dell’addome, spiega Francesco Nazzi, professore di Apidologia e apicoltura all’Università di Udine. Alla stessa famiglia dei calabroni appartengono gli imenotteri identificati popolarmente come vespe, caratterizzati da dimensioni più contenute: le più diffuse appartengono al genere Vespula mentre le più riconoscibili sono probabilmente le Polistes, il cui addome a goccia è emblematico della definizione “vitino da vespa”.

Attenti ai nidi
“A differenza delle precedenti, le numerosissime specie di api e bombi hanno il corpo ricoperto da una fitta peluria. Se si esclude la vistosa ape legnaiola (Xylocopa violacea), di colore nero violaceo, le api hanno dimensioni più piccole dei calabroni e sono, in genere, meno aggressive. Purché non ci si avvicini troppo al nido” aggiunge Nazzi. Se nel caso delle api è relativamente semplice individuare, e dunque evitare, l’alveare, così non è per vespe e calabroni. Infatti, alcune specie costruiscono il nido nel suolo, altre sui rami degli alberi, altre ancora si possono trovare al lavoro sotto il tetto delle abitazioni, nelle cavità dei muri e perfino negli armadi. Inoltre, le vespe sono attirate da frutta, liquidi zuccherini, carne e anche dalla spazzatura; tutto ciò aumenta il rischio di punture. Sebbene l’incontro con questi insetti rimanga in buona parte imprevedibile, l’adozione di alcune semplici precauzioni può scongiurare il peggio. “Per esempio, è bene evitare di camminare a piedi nudi sull’erba o di compiere movimenti bruschi in loro presenza. A casa, bisogna prestare attenzione nella chiusura dei sacchetti dell’immondizia e verificare che guanti e stivali da giardinaggio non siano divenuti, specie durante l’inverno, un rifugio per le vespe”, riprende Bilò.

Il rischio: punture multiple
Quelle degli imenotteri sono tra le punture più dolorose. Tramite il pungiglione, questi insetti iniettano nella cute del malcapitato il loro veleno. “La quantità di veleno è innocua per un soggetto non allergico. Tuttavia, molte specie di api e vespe sono animali sociali: il rilascio di ferormoni richiama sul posto altri individui. La possibilità di ricevere altre punture è concreta”, ricorda Nazzi. A differenza del pungiglione liscio delle vespe, che può essere ritirato facilmente dalla pelle, quello delle api è dentellato. Nel tentativo di estrarlo l’ape si lacera l’addome, morendo dopo una sola puntura. Le ghiandole velenifere rimangono però attaccate al pungiglione e con esse le parti che rilasciano sostanze d’allarme che richiamano altre api. “Per rimuovere il pungiglione bisogna sollevarlo delicatamente aiutandosi con le unghie o con una tessera di plastica”, aggiunge Bilò. Contemporaneamente è bene allontanarsi con calma per evitare altri attacchi.

30 minuti
Normalmente, la puntura di uno di questi insetti provoca rossore e gonfiore che interessano un’area di pochi centimetri e regrediscono spontaneamente nel giro di qualche ora. Manifestazioni più estese e durature sono il segnale di una lieve reazione allergica, già meritevole di approfondimento. Se però, entro mezzora dalla puntura, si dovessero manifestare reazioni sistemiche, come orticarie o gonfiori estesi, difficoltà respiratorie e sensazione di svenimento, antistaminici e cortisone non bastano. L’intervento del 118 può letteralmente diventare una questione di vita o di morte. “Le persone che ancora non sanno di essere allergiche sono quelle più a rischio. Chi invece ne è consapevole in genere ha sempre con sé l’adrenalina auto iniettabile per limitare i sintomi della reazione allergica. Tuttavia, anche per loro, il ricorso al pronto soccorso è inevitabile”, nota l’allergologa, ricordando che, ormai da anni, esiste in commercio il cosiddetto ‘vaccino salvavita’. “Per l’esattezza, si tratta di un’immunoterapia specifica in grado di regolare la risposta immunitaria. Al momento, è l’unica terapia capace di proteggere l’allergico da reazioni successive”, chiarisce Bilò. Dosi crescenti del veleno specifico vengono somministrate sottocute alle persone allergiche, fino a raggiungere il cosiddetto dosaggio protettivo. Se eseguita per un minimo di cinque anni, la terapia è efficace in oltre il 90% dei casi e mantiene l’effetto per molti anni dopo la sospensione. Inoltre, migliora significativamente la qualità della vita della persona allergica, consentendole di infrangere la cupola di vetro in cui spesso si rinchiude: le escursioni in mezzo alla natura ora fanno meno paura.

www.repubblica.it