Firmato presso la Fondazione E. Mach, il documento che vuole proporre uno spunto scientifico per la salvaguardia dell’Apis mellifera e delle sue sottospecie, ma che non ha trovato il consenso delle associazioni apistiche nazionali.
Il 12 giugno 2018 in un convegno organizzato presso la Fondazione Edmund Mach, si è tenuta la cerimonia della firma della Carta di San Michele all’Adige, un documento, proposto da molti esponenti della comunità scientifica e del mondo dell’apicoltura per sensibilizzare una tutela delle sottospecie di Apis mellifera in Italia.
Apis mellifera L. è la specie di ape usata da millenni dall’uomo per ricavarne i suoi prodotti, come cera, miele, polline e propoli, ma considerata una specie selvatica, una specie gestita, anche allevata, ma non domesticata, cioè non modificata a tal punto dall’uomo da farla essere dipendente per la sua sopravvivenza, alimentazione e conservazione dall’attività umana.
Un aspetto, anche discusso, che mette le api da miele e l’uomo in un rapporto particolare, dove l’apicoltura è sì una attività zootecnica, ma con aspetti peculiari.
Come animale selvatico, si sottolinea nella Carta, è fondamentale per questa specie l’adattamento all’ambiente in cui vive. Un adattamento che ha portato alla formazione di diverse sottospecie di Apis mellifera, cioè popolazioni di questa specie, fertili tra loro, ma con caratteristiche specifiche che le rendono particolarmente adatte a quel contesto ambientale.
Così si riconoscono 31 sottospecie diffuse, nel mondo, di cui 15 solo in Europa e nell’area caucasica.
In Italia, unico caso in Europa, sono presenti ben quattro sottospecie, l’Apis mellifera mellifera, al confine di Francia e Svizzera, l’Apis mellifera carnica, presente originariamente in Friuli e diffusa anche in Veneto e Trentino, l’Apis mellifera ligustica, diffusa in tutta la parte insulare e in pianura Padana e l’Apis mellifera siciliana, presente solo in Sicilia.
Una realtà, quella italiana, molto particolare e ricca dal punto di vista della biodiversità, dovuta anche alle caratteristiche geografiche del nostro paese che presenta una moltitudine di ambienti.
Una biodiversità messa però a rischio, secondo gli autori della Carta, non solo dalle avversità che minacciano la sopravvivenza delle api, come malattie, parassiti, uso sconsiderato di fitofarmaci, cambiamenti climatiche e alterazioni di habitat, ma anche dalle tecniche apistiche, come il commercio di alveari e di api regine e il nomadismo su larga scala, che portano a alterare la genetica delle popolazioni locali.
Gli autori della Carta propongono quindi azioni e misure di tutela che mirino a salvaguardare le diverse sottospecie nel loro areale, anche a vantaggio dell’apicoltura, ritenuta centrale sia per la produzione apistica sia da un punto di vista culturale, dal momento che le singole sottospecie sono in genere più adatte al loro ambiente, e quindi anche più facilmente e proficuamente allevabili.
Di questo si è parlatoi a San Michele all’Adige, in un convegno che ha visto presenti personalità come Andrea Segré e Paolo Fontana, della Fondazione Edmund Mach, Bruno Massa dell’Università di Palermo, Andrea Battisti dell’Università di Padova, Antonio Felicioli dell’Università di Pisa, Francesco Nazzi e Desiderato Annoscia dell’Università di Udine, Franco Mutinelli del Centro di referenza nazionale per l’apicoltura dell’Izs delle Venezie, Ignazio Floris e Roberto Mannu dell’Università di Sassari, Cecilia Costa e Marco Lodesani del Crea, Marco Valentini del World biodiversity association e Alberto Contessi dell’Osservatorio nazionale del miele.
Un convegno al quale invece non hanno partecipato, come spiegato in un comunicato congiunto le tre associazioni apistiche nazionali, Unaapi, Fai e Anai, che non condividono nel metodo e nel merito lo spirito dell’iniziativa.
Le tre associazioni apistiche contestano soprattutto il fatto di non essere state coinvolte nella stesura del documento, che non riconoscerebbe il lavoro che gli apicoltori hanno svolto nella salvaguardia del patrimonio apistico, garantendo il mantenimento e la difesa degli alveari.
Ma le tre associazioni contestano anche la messa in discussione di fatto di alcune attività apistiche, in particolare il nomadismo, espressamente previste e anche incentivate dalla legge.
Unaapi, Fai e Anai comunque si dichiarano pronte, in altra sede, a rivedere i contenuti di questo documento, nell’ottica del bene comune delle api, un documento che oggi non ritengono però di poter sottoscrivere.
Una frattura grave, che vede contrapporre il mondo scientifico a quello produttivo, o forse vede contrapporsi due visioni diverse di considerare le api e l’apicoltura.
Un aspetto che ovviamente cercheremo di approfondire.