Da qui a 100 anni potremmo dover dire addio al miele, che paga le gravi conseguenze del riscaldamento globale, minaccia costante per gli impollinatori: nel 2017, la siccità ha causato un crollo produttivo del -80%. L’allarme arriva dai ricercatori dell’Università di Milano che hanno dedicato uno studio all’impatto dei cambiamenti climatici sulle api (Ricerca su possibili influenze dei fenomeni climatici e ambientali quali fattori determinanti l’assottigliamento delle popolazioni apistiche mondiali) e, di conseguenza, sulla produzione di miele.
La stagione invernale sempre più corta e calda, rilevano i ricercatori, ha innescato un allungarsi della finestra di attività delle api, ipotizzabile in 20-30 giorni di lavoro in più l’anno, e uno stress aggiuntivo per gli impollinatori che comprometterebbe la loro salute. Il sincronismo tra la fase della fioritura e la ripresa delle attività di volo delle api dopo l’inverno potrebbe aver subito importanti sfasature. L’inverno che cambia ha impatti anche sul ciclo vitale delle api, con conseguenze sulle covate che tendono a bloccarsi. E poi la siccità. Quella del 2017, secondo i dati forniti dagli apicoltori italiani dell’Unaapi, ha causato un calo della produzione di miele dell’80%. A causa della siccità, infatti, i fiori non secernono più nettare e polline e le api così non solo non producono miele, ma rischiano di non riuscire a fornire il loro determinante servizio di impollinazione alle colture agricole. Non solo ricercatori: a lanciare l’allarme sono anche gli apicoltori italiani (oltre 45.000 quelli censiti, di cui 20.000 produttori che detengono l’80% del patrimonio apistico nazionale: 1,2 milioni di alveari) che da tempo denunciano la drastica riduzione del numero e della produttività degli alveari. Insomma: una delle spie degli effetti negativi dei cambiamenti climatici e del riscaldamento globale è la drammatica diminuzione delle api domestiche e selvatiche. Dopo l’uso massiccio dei pesticidi, i cambiamenti climatici rappresentano una delle maggiori minacce per gli impollinatori, da cui dipende oltre il 70% della produzione agricola per la nostra alimentazione. I cambiamenti climatici, insieme alle pratiche agricole intensive che richiedono l’utilizzo di pesticidi pericolosi per le api e gli altri impollinatori, mettono in pericolo questo inestimabile patrimonio dell’agricoltura italiana sottoposto ad attento monitoraggio da parte del Ministero delle Politiche Agricole con il progetto “BeeNet” la Rete nazionale di monitoraggio degli alveari realizzato nell’ambito del Programma della Rete Rurale Nazionale.
La rete di monitoraggio degli alveari è costituita da moduli di rilevamento ognuno dei quali è composto da 5 postazioni localizzate in siti rappresentativi dei vari contesti agronomici e ambientali del territorio italiano. Ma mentre è attivo un monitoraggio sulle api domestiche, per il loro interesse economico diretto, nulla sappiamo sulla perdita delle popolazioni degli imenotteri selvatici che attraverso l’impollinazione sostengono l’intera agricoltura nei nostri territori. Il secondo Rapporto sul Capitale Naturale in Italia, presentato dal Ministero dell’Ambiente a febbraio, dedica un capitolo al servizio ecosistemico dell’impollinazione, riportando i dati delle ultime ricerche realizzate nel nostro paese per una sua quantificazione economica. Nel 2012 il valore della produzione agricola di mele, pere e pesche è stata di 473,48 milioni di euro, è stato valutato in 56,96 milioni di euro il valore economico dipendente direttamente dall’impollinazione per il settore mele, pere e pesche. In definitiva, il servizio ecosistemico d’impollinazione contribuisce a circa il 12% del valore della produzione agricola del settore preso in esame.
A livello internazionale l’Ipbes (un panel di scienziati di 124 Paesi che studia la perdita della biodiversità e dei servizi ecosistemici a livello globale per conto della Convenzione Internazionale sulla Diversità Biologica) ha prodotto nel 2016 un primo rapporto sulla perdita della biodiversità degli impollinatori. Dalla ricerca, risulta che il 16% degli insetti impollinatori selvatici a livello mondiale è a serio rischio di estinzione, in particolare il 40% delle specie di api selvatiche e farfalle risultano essere a rischio. Dopo la presentazione del rapporto dell’Ipbes si è formata a livello internazionale la coalizione dei volenterosi per la protezione gli impollinatori, costituito da un numero crescente di Governi del mondo, ispirata dalla convinzione dell’urgenza di una azione in rete per promuovere la tutela del servizio ecosistemico dell’impollinazione. Continua poi la campagna del Wwf “Bee Safe” che da tempo ha acceso i riflettori sulla questione e chiede all’Unione Europea maggiori impegni per la tutela degli impollinatori.
Focus – Coldiretti, +5,1% acquisti miele, ma 2/3 straniero
Boom del miele nel carrello della spesa degli italiani con un aumento del 5,1% sul valore degli acquisti nell’ultimo anno, ma volano anche le importazioni dall’estero con 2 barattoli su 3 che arrivano dall’estero nel 2017. È quanto afferma la Coldiretti, in relazione all’allarme lanciato dall’Università di Milano sull’impatto dei cambiamenti climatici che rischiano di azzerare la produzione di miele entro i prossimi cento anni. Una prospettiva preoccupante – sottolinea la Coldiretti – considerato che le api sono un indicatore dello stato di salute dell’ambiente e servono al lavoro degli agricoltori con l’impollinazione dei fiori tanto che Albert Einstein sosteneva che: “Se l’ape scomparisse dalla faccia della terra, all’uomo non resterebbero che quattro anni di vita”. Gli effetti del clima pazzo si vedono già adesso sugli alveari con una produzione di miele nel 2017 più che dimezzata attestandosi sulle 10 milioni di chili, uno dei risultati peggiori della storia dell’apicoltura moderna da almeno 35 anni, mentre le importazioni hanno superato i 23 milioni di chili con un aumento di quasi il 4% rispetto all’anno precedente. Quasi la metà di tutto il miele estero in Italia arriva da due soli paesi: Ungheria con oltre 8 milioni e mezzo di chili e la Cina con quasi 3 milioni di chili ai vertici per l’insicurezza alimentare.
Per evitare di portare in tavola prodotti provenienti dall’estero, spesso di bassa qualità – consiglia la Coldiretti – occorre verificare con attenzione l’origine in etichetta oppure di rivolgersi direttamente ai produttori nelle aziende agricole, negli agriturismi o nei mercati di Campagna Amica. Il miele prodotto sul territorio nazionale dove non sono ammesse coltivazioni Ogm (a differenza di quanto avviene ad esempio in Cina) è riconoscibile attraverso l’etichettatura di origine obbligatoria fortemente sostenuta dalla Coldiretti. La parola Italia deve essere obbligatoriamente presente sulle confezioni di miele raccolto interamente sul territorio nazionale mentre nel caso in cui il miele provenga da più Paesi dell’Unione Europea, l’etichetta – continua la Coldiretti – deve riportare l’indicazione “miscela di mieli originari della Comunità Europea”; se invece proviene da Paesi extracomunitari deve esserci la scritta “miscela di mieli non originari della Comunità Europea”, mentre se si tratta di un mix va scritto “miscela di mieli originari e non originari della Comunità Europea”.
Il miele – evidenzia la Coldiretti – è uno degli alimenti più multifunzionali che si possono trovare in natura: può essere usato per i dolci, per i condimenti, per le bevande, per le tisane e come aiuto contro i mali di stagione, ma anche come componente di creme di bellezza per la pelle e per gli impacchi nutrienti per i capelli. Il miele ha proprietà antibatteriche e anti infiammatorie, ma è anche un energizzante naturale che può essere usato nelle escursioni in montagna o prima di una gara sportiva o di un allenamento, grazie anche alla sua alta digeribilità. In Italia – spiega la Coldiretti – esistono più di 50 varietà di miele a seconda del tipo di “pascolo” delle api: dal miele di acacia al millefiori (che è tra i più diffusi), da quello di arancia a quello di castagno (più scuro e amarognolo), dal miele di tiglio a quello di melata, fino ai mieli da piante aromatiche come la lavanda, il timo e il rosmarino. Nelle campagne italiane – conclude la Coldiretti – ci sono 1,2 milioni gli alveari curati da 45.000 apicoltori tra hobbisti e professionali con un valore stimato in più di 2 miliardi di euro per l’attività di impollinazione alle coltivazioni.