Impazziscono, perdono l’orientamento e muoiono senza poter rientrare nel loro alveare. Uno sterminio inarrestabile per milioni di api, uccise dall’inquinamento e dalla mano dell’uomo. Sono loro, da sempre, le più fidate sentinelle dell’ambiente in cui viviamo. Sono loro, adesso, ad avvertire che il degrado del nostro ecosistema è entrato probabilmente in un vortice di ineluttabile distruzione: locale, ma anche globale. Le cause? Massimo Palazzetti, veterinario tra i più autorevoli esperti di apicoltura, queste cause le mette in fila: “I cambiamenti climatici, il ricorso sempre più massiccio agli Ogm, le monocolture, le malattie esotiche”. Sono i “killer” delle api e quindi del nostro naturale apparato di monitoraggio ambientale: sotto tutte le latitudini. Il pericolo è in mezzo a noi, nel nostro mortifero armamentario chimico, ma arriva anche da lontano. La Varroa, per esempio, è un parassita proveniente dall’Est europeo che si avvinghia all’ape e la debilita progressivamente sino a finirla. Un nemico con caratteristiche devastanti, simili a quelle del Cinipede per la castagna. E poi ci sono i calabroni cinesi, sbarcati – si dice – a Parigi, quindi in Europa, dopo aver viaggiato in comodi vasi di ceramica. I nemici di importazione e i veleni (antiparassitari, pesticidi, anticrittogamici…anti e ancora anti) sparsi a piene mani dall’uomo stanno devastando in tempi rapidi l’intero sistema ecologico. Massimo Palazzetti allarga le braccia sconsolato. Quasi un verdetto. Purtroppo confermato dai numeri che presenta Francesco Maria Tolomei, presidente di Apituscia, in rappresentanza di 250 aziende certificate, 50 laboratori, 10.000 alveari: “La produzione è crollata nel giro di un paio di anni. Eravamo sui 20.000 quintali, siamo arrivati ad 8.000. Un tonfo magari atteso, ma non di proporzioni così devastanti. Ed il futuro, se possibile, è ancora più problematico perché la moria delle api è inarrestabile. Sono insetti delicati che hanno crescenti difficoltà a individuare terreni sani dove nutrirsi. I veleni che succhiano dai fiori fanno perdere loro l’orientamento, tanto da non riuscire ad intercettare le arnie di provenienza. Di api ne troviamo a mucchi, ormai senza vita, dinanzi agli alveari. Per mantenere gli allevamenti siamo costretti ad utilizzarne a migliaia e migliaia, sottraendole al loro quotidiano lavoro”. Meno api, meno miele, meno utili, già in forte ridimensionamento da un paio di anni. “Anche perché – spiega Tolomei – il miele ci viene pagato sempre meno. Ce n’è troppo in giro, che non è in contraddizione con il quadro che abbiamo illustrato. C’è una crescita poderosa di miele taroccato che arriva dai mercati dell’Est e dell’Oriente, ma non è esattamente miele, piuttosto un mix di fruttosio di riso e/o glucosio di mais”. Chiacchierata interessante, ma che inevitabilmente lascia l’amaro in bocca…altro che miele. Semmai sorge e si dilata drammaticamente l’interrogativo: ci si deve preoccupare di più del miele fasullo che arriva da lontano (ma non solo) o del destino letale di miliardi di api che diventa un altro segnale di fine annunciata per l’umanità? Comunque lo si inquadri, resta un interrogativo inquietante.