di Roberto Luciani –
Giallo come l’oro, e ora altrettanto ricercato. È il miele di acacia vicentino, mai come stavolta una rarità a causa soprattutto del clima pazzo in primavera, e di certo la calura estiva non ha aiutato.
Le cifre parlano da sole. Si è passati dal calo del 30-40 per cento nel 2016 al tracollo di quest’anno, con punte del 99 per cento in meno. Una mazzata. Come per il miele di tiglio. Va un po’ meglio per il miele di montagna (la melata di abete) e di castagno – eccezionale il raccolto del rododendro, prodotto però di nicchia -, ma complessivamente le produzioni sono diminuite del 60-80 per cento, a seconda dei territori e delle aree. Cifre importanti che di contro fanno fregare le mani alle ditte straniere, ungheresi e cinesi in primis, pronte a invadere gli scaffali dei supermercati. Con qualche dubbio circa la qualità e la sicurezza dei prodotti che arrivano. È difficile per i consumatori poter seguire la loro tracciabilità. Non è solo una questione di etichette, ma di sopravvivenza della specie, animale e alimentare.
Insomma, molto più di un raccolto andato a male. Attaccati da parassiti nostrani, come la famigerata Varroa, e ora pure di importazione asiatica, la terribile vespa velutina che divora letteralmente gli esemplari delle due razze italiche, ligustica e carnica; questi insetti sono pure sotto l’assedio dei cambiamenti climatici e dell’utilizzo di pesticidi e diserbanti. Nonostante l’indubbia capacità di adattamento e di evoluzione, subiscono migliaia di vittime, specialmente in pianura, ma soprattutto si ritrovano spesso inibite in quello che è il loro compito naturale, l’impollinazione delle piante. Spiega Enrico Dolgan, apicoltore della Val Leogra: «È vero che non ci sono state morìe, ma siamo in ginocchio. Da noi il periodo va dalla prima settimana di aprile alla prima di luglio. Quest’anno abbiamo perso tutta la produzione primaverile a causa del freddo al quale si è aggiunta, a dare il colpo di grazia, la tempestata di metà maggio. Per non parlare dell’inverno secco. La fioritura dell’acacia è stata praticamente sterile, ovvero senza nettare.
Per fare un esempio pratico, solo io sono passato da 10 quintali a 50 chili di questo tipo di miele, che è poi quello più diffuso». Dunque, raccolta ai minimi storici e neppure il nomadismo, ovvero il trasferimento degli impianti dove la fioritura stagionale è intensa, è servito. Colline e montagne sono habitat ideali, ma bisogna fare i conti anche con i “nomadi” provenienti dal Sud, visto che Veneto e Vicentino sono ritenuti ottimi per arnie e alveari. «E quando c’è molto o c’è poco, è per tutti». Sono migliaia i produttori veneti. Un esercito tutelato da una legislazione regionale che protegge le piccole produzioni locali – e i consumatori che possono sapere con certezza come e dove quel vasetto di oro denso è stato prodotto –, ma che sta modificando le proprie difese tanto da abbandonare a poco a poco la pianura, a rischio per le monocolture, la riduzione delle siepi, i veleni.